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COMMENTS ON MANNING - "A MATTER OF LIFE & DEATH"
By MASSIOMO LONGONI - HMP (Italy)

I versi di una nota canzone recitavano “don’t judge a book from it’s cover”. Parole sagge, eppure se è vero che così come per i libri, una copertina di un disco non fa il valore del suo contenuto, è innegabile che molte volte sia il suo biglietto da visita. Nel caso di “A Matter Of Life And Death” dice molto: con un artwork simile è impossibile non capire che ci si trova di fronte ad un’opera di progressive dei più classici, romantica, complessa e sognatrice. E il contenuto non tradisce. Guy Manning è ormai al sesto album, le sue qualità di polistrumentista, menestrello inventore di storie senza tempo, sono assodate, ma per il debutto con la ProgRock Records è riuscito a compiere un ulteriore passo in avanti. Per costruire questo concept l’artista ha recuperato il personaggio di Abel Mann, creato per il suo primo lavoro, “Tall Stories For Small Children” (1999), intorno al quale ha impostato l’intreccio per sondare le pieghe del destino che portano un uomo alla morte e alla rinascita. L’amore per un certo prog sgorga da ogni nota: i richiami in particolare ai Jethro Tull sono evidenti, alimentati oltre che dal songwriting dal timbro di Manning, molto simile a quello di Ian Anderson, anche se la contaminazione con il jazz (“Falling Down? Rising Up!”), a volte permette di deviare dai sentieri più scontati. Impossibile scindere un brano o l’altro dal contesto, in un album il cui maggior difetto è quello di essere senza tempo, nel senso di non essersi accorto degli anni che sono passati: la produzione, le melodie, il concetto stesso che ne sta alla base, suona terribilmente (ma anche magnificamente, dipende dai punti di vista) anni ’70. Insomma, se non si fa caso alla data di pubblicazione, rimane solo da godersi un gioiellino di rara bellezza.

Un album perfetto per chi ama la buona musica e non chiede troppe sorprese

14-11-2004
Massimo Longoni